PFO e attività subacquea: chiuderlo o non chiuderlo?
Armano, nostro lettore e istruttore subacqueo, ha scoperto di soffrire di Forame Ovale Pervio (PFO) dopo un incidente da decompressione e, pur continuando a immergersi, vuole approfondire con ulteriori indagini sul suo problema, dato che alcuni medici consigliano l’operazione.
Per chiedere informazioni approfondite ci ha scritto questo messaggio:
Gent.mo dottore, premetto che sono istruttore subacqueo (seppur di pianura). Nel 2008 ho avuto un episodio di incidente da decompressione neurologico (MDD di tipo II) e al Centro iperbarico mi hanno diagnosticato uno shunt da Pervietà del Forame Ovale (PFO) definito, con ecodoppler transcranico, di tipo medio.
Le chiedo una consulenza, se mi posso permettere. Il mio amico cardiologo e medico sportivo mi consiglia di chiudere il PFO tramite applicazione di un dispositivo di chiusura (tipo Amplatzer) mentre il suo collega, prof. Alessandro Marroni, mi dice di immergermi seguendo alcune precauzioni. Io, però, ogni tanto ci penso e non sono convinto di nessuna delle due soluzioni. Adesso faccio immersioni sempre con Nitrox alla profondità massima di 30 metri. Non faccio immersioni ripetitive ravvicinate (ho smesso dopo alcuni episodi di incidente da decompressione cutaneo).
Almeno una volta all’anno mi viene voglia di approfondire, quindi le chiedo se fosse il caso di fare altre indagini e/o una visita con lei? Grato per la sua risposta le porgo cordiali saluti. Armano
Risponde qui sotto, nei commenti, il nostro Direttore Sanitario Dott. Pasquale Longobardi, laureato in Medicina e Chirurgia con specializzazione in Medicina del Nuoto e delle Attività Subacquee. Per approfondimenti sui nostri servizi legati alla medicina subacquea clicca qui sotto:
Pasquale Longobardi
caro Armano, ti ringrazio per l’attenzione e la stima. Il tuo quesito è interessante e rispondo con piacere.
Hanno ragione tutti: il tuo medico sportivo di fiducia; il prof. Alessandro Marroni (Presidente del DAN Europe) e tu.
La ricerca ha evidenziato che l’incidente da decompressione sia, prevalentemente, un danno infiammatorio causato dalla interazione delle bolle gassose con il sistema immunitario. Il “buco” (PFO) non è la causa dell’incidente da decompressione ma è un fattore predisponente perché facilita il travaso delle bolle dalla parte destra (sangue sporco) alla parte sinistra (sangue pulito) della circolazione: cioè parte delle bolle non vengono eliminate dal filtro polmonare.
Ti sono stati proposti due modi per risolvere il problema: chiudere il “buco” e immergerti con ragionevole tranquillità (parere del medico dello sport) oppure applicare delle misure preventive per ridurre l’innesco delle bolle (parere del prof. Alessandro Marroni).
Hai ragione nell’essere perplesso. In base alla esperienza acquisita dal Centro iperbarico Ravenna, entrambi gli approcci hanno dei limiti:
1) chiusura del buco: prima di chiuderlo è necessario essere certi che oltre al “buco” nel cuore (PFO)non ci siano altri buchi” nei polmoni, intestino, altrove. Sarebbe antipatico chiudere il PFO e continuare ad avere problemi in immersione.
2) lasciar stare il PFO ed eventuali altri “buchi” e immergersi applicando le misure preventive. Ritengo che tu sia già prudente (aria arricchita in ossigeno “nitrox”, immersione singola entro i 30 metri) eppure hai subito un incidente da decompressione neurologico e alcune forme cutanee: al posto tuo – in immersione – avrei il timore del ripetersi dell’incidente anche in forma grave.
Cosa consiglio?
Definire lo shunt tramite adeguata procedura. Servono dati numerici: meno di venti bolle, contate da un operatore esperto con ecocolordoppler transcranico con contrasto sonografico su entrambi i lati del cranio, durante manovra di Valsalva e/o compressione addominale (tipo squat); pressione parziale dell’ ossigeno nel sangue arterioso – misurata tramite emogasanalisi – poco inferiore ai 400 millimetri di mercurio, durante respirazione di ossigeno puro con erogatore o maschera a elevato flusso. Solo lo shunt che sia veramente piccolo non è operabile, gli altri vanno chiusi.
Il Centro iperbarico Ravenna (tel 0544-500152) offre un percorso di diagnosi dello shunt che si attua in un giorno tramite un approccio collegiale (neurologo per l’ecodoppler transcranico corretto; rianimatore per la emogasanalisi; medico subacqueo – io – per la valutazione finale).
Un caro saluto, Pasquale
Rosario Forestieri
L’esperienza di tanti casi dice che un grande passaggio di bolle (più correttamente MES ossia segnali microembolici) al Doppler Transcranico o al Doppler Carotideo meglio se con elaborazione informatica secondo la mia metodica, corrisponde ad uno shunt “grande” mentre un modesto passaggio di MES NON NECESSARIAMENTE corrisponde ad uno shunt piccolo.
Come si noterà adopero il termina SHUNT e non PFO perchè concordo col Collega Longobardi sul fatto che bisogna dimostrare se il PFO è l’unico shunt o ne esistono altri.
Quindi è necessario approfondire la diagnostica.
Per fortuna le bolle presenti in atrio destro preferibilmente non prendono la strada della fossa ovale, come dimostrato in studi in Risonanza Magnetica (e questo salva molti sub da incidenti); il passaggio può essere favorito da sforzi compiuti in particolare dopo l’immersione e sappiamo tutti che è prassi compiere sforzi specialmente nel trasporto dell’attrezzatura notoriamente pesante.
La storia di Armano, a mio parere, non consente di immergersi secondo criteri prudenziali avendo già avuto numerosi infortuni.
La subacquea è uno sport a basso rischio incidenti, però è la tipologia degli infortuni che non da tranquillità in quanto possono essere gravi e invalidanti se non peggio.
Si sentirà dire che dato che il 30% della popolazione è portatore di shunt ma gli incidenti sono pochi, però questo è un mero dato statistico. Ragioniamo per un attimo al contrario, cioè dalla parte degli infortunati, e vediamo se la statistica li consola.
Non è obbligatorio andare sott’acqua sapendo di correre dei rischi anche se con basse percentuali, ma col rischio di incidenti gravi, tanto più se ci sono già state le avvisaglie come in questo caso.
In un caso simile voglio vedere quale medico certifica e firma che Armano può immergersi tranquillamente anche se con misure precauzionali.
Lo si può fare dopo un opportuno percorso diagnostico e terapeutico che può comprendere anche la chiusura transcatetere condotto da persone esperte e sensibili al problema.
L’approccio che consiglia il Dottor Longobardi, studiando a 360° il caso, è sicuramente quello che fa al caso di Armano.
armano
Ringrazio pubblicamente per la risposta che giunge a confermarmi di avere fatto la scelta giusta.Feci la domanda in un momento di indecisione, poi dopo aver seguito l’iter diagnostico indicato dal dottor Longobardi ho fatto la chiusura percutanea del PFO, perfettamente riuscita.Un aspetto che sicuramente sarà diverso quando potrò reimmergermi, sarà la tranquillità di sapere di non prendere rischi maggiori di quelli di una attività sportiva relativamente sicura come la subacquea .Personalmente dopo la mia esperienza aggiungo che, sopratutto per noi professionisti, approfondire dopo alcuni segnali se non obbligatorio è (da me) fortemente consigliato.
saluti Armano
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