Immersioni subacquee: l’intervista di Yahoo Notizie al Dott. Longobardi
La scorsa settimana su Yahoo Notizie è stata pubblicata un’interessante intervista al Dott. Longobardi, Direttore Sanitario del Centro Iperbarico Ravenna, in cui si è parlato dei rischi delle immersioni subacquee e dei consigli per una giusta preparazione.
Suggerimenti molto utili anche per i tanti lettori subacquei del nostro blog, per questo riportiamo il testo integrale dell’intervista.
Buona lettura!
Immersioni subacquee: le patologie a cui fare attenzione
A dispetto degli ultimi casi di cronaca, la subacquea è uno sport molto sicuro: a spiegarlo è il dottor Pasquale Longobardi, ricercatore affiliato Istituto Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e direttore sanitario del Centro iperbarico di Ravenna.
“Nella subacquea si registra un incidente ogni 80.000 immersioni“. Inoltre, mentre parla della sua esperienza alGiglio, dove è stato responsabile medico del progetto di recupero del relitto della Costa Concordia, “su 22.000 immersioni supervisionate lì, gli incidenti registrati non sono da ricollegare all’attività subacquea in senso stretto, ma vanno messi in relazione con cause esterne (nello specifico alla caduta di una scialuppa che ha provocato la morte di un sub spagnolo)”.
La subacquea è uno sport molto sicuro, dunque, ma con le dovute specifiche. “Quando dico questo,” puntualizza Longobardi “mi riferisco però a immersioni senza stress bulligeno, cioè attività subacquee in cui si producono poche bolle perché si rimane entro i 30 metri di profondità, si fa una sola immersione al giorno o si lascia passare almeno un intervallo di due ore tra l’una e l’altra, si risale lentamente e non si effettuano deviazioni dal percorso stabilito”. Tutti modi per evitare spiacevoli incidenti dal tragico epilogo, come nel caso dei tre sub morti alle Isole Formiche.
Ma quali sono le patologie più comuni in cui può incorrere chi pratica immersioni subacquee?
“Le patologie possono essere di due tipi: quelle disbariche (provocate da un’alterazione della pressione) e quelle comuni (non legate all’attività subacquea in senso stretto). Le patologie disbariche possono riguardare l’orecchio e i condotti che ci permettono di prendere area. Se si è raffreddati, i condotti sono ostruiti e durante l’immersione si possono accusare dolori alle orecchie, alla fronte, alla mascella”.
“Un altro fenomeno che può colpirci sott’acqua è l’ebrezza da profondità, provocata dai gas che respiriamo durante l’immersione, cioè l’azoto e l’anidride carbonica. Questi gas provocano un irritazione nervosa, provocando il cosiddetto “effetto Martini“: ogni 10 metri di discesa effettuati equivalgono a un bicchiere di Martini, con gli effetti che tutti conosciamo. Ci può essere maggiore euforia o depressione. L’effetto passa risalendo verso la superficie. Se però non passa perché si resta sott’acqua, l’ebrezza da profondità può scatenare anche l’aggressività nei sub, con conseguenze molto pericolose per la squadra”.
“Poi ci sono le patologie collegate alla risalita: se si risale troppo velocemente possiamo subire la cosiddetta “pallonata” o sovradistensione polmonare. Tutti i gas nel corpo si dilatano fino allo scoppio del contenitore, come i polmoni ad esempio. Oppure potremmo trovarci in ostaggio di unasinusite esplosiva o, ancora, se si ha una carie, si può avere un forte mal di denti. Ma si tratta di casi molto rari”.
“Un’altra patologia legata alla risalita è l’incidente da decompressione. Quando il sub risale, deve procedere piano per liberarsi dell’azoto accumulatosi durante l’immersione, effettuando soste programmate ogni 5 metri e aiutandosi con l’adeguata tecnologia. Se si fa un’immersione o una risalita con saliscendi o immersioni bulligene (quindi molto faticose e profonde), possiamo avere degli incidenti”.
Proprio il caso di Fabio Giaimo, Enrico Cioli e Gianluca Trevani, i tre sub morti all’Argentario, ci danno lo spunto per parlare delle patologie non collegate a fenomeni iperbarici, come l’intossicazione da gas: “i tre sarebbero morti forse per un’intossicazione da monossido di carbonio. Avrebbero infatti caricato le bombole da immersione con un compressore presente sulla barca. I gas di scarico del motore dell’imbarcazione sarebbero così penetrati nelle bombole e avrebbero inquinato la miscela. Le bomoble infatti si caricano in un centro immersione a terra, proprio per evitare questi incidenti”.
“Altre patologie non strettamente legate alle immersioni sono l’infarto polmonare o la rottura di un vaso cerebrale: cose che posso capitare in ogni momento, ma che sottacqua è più difficile risolvere. Si verifica dunque una sindrome da sommersione, un’insufficienza respiratoria causata dalla sommersione di liquidi, più comunemente conosciuta come ‘annegamento'”.
Cosa si può fare per non incorrere in queste patologie?
“Ci sono tre parole chiave per prevenire questi incidenti. La prima è “visita medica specialistica“, utile per diagnosticare malattie come quella che ha colpito Antonio Cassano, il forame ovale pervio, che consente al sangue di spostarsi da un atrio all’altro del cuore senza passare per i polmoni, arrivando direttamente al cervello. Per chi fa immersioni è molto pericoloso non sapere di averlo, per cui va diagnosticato. Inoltre una visita medica specialistica condotta da un medico subacqueo, permette di appurare l’esistenza di patologie polmonari, neuronali (come l’epilessia), o cardiache. La subacquea, proprio come il nuoto, è un’attività sportiva ad alto impegno cardiovascolare per cui è necessario che non sussistano patologie pregresse”.
“La seconda parola chiave è formazione: non si può andare in acqua se non compatibilmente con il livello di formazione raggiunto. Si tratta della principale causa di incidenti in acqua: spesso chi ha conseguito un primo livello, che abilita a 20 metri, si immerge anche a 40 metri”.
“Infine tecnologia: bisogna fare delle immersioni con attrezzature coerenti con l’attività che si intende fare. Questa consapevolezza si acquisisce solo con un corso che ci insegna che non si può andare in una grotta con una bombola singola da 15 litri, senza torce e senza “il filo di Arianna” (una corda che si lega dall’uscita fino al fondo, per avere una traccia che in caso di buio può aiutarci a ritrovare l’uscita). Oppure che per immersioni superiori ai 40 metri, è necessario caricare le bombole con una miscela arricchita con elio”.
Come ci si deve preparare a un’immersione?
“Un bravo subacqueo fa un po’ di attività fisica che lo prepari ad affrontare correnti subacquee o a fare sforzi in una situazione d’emergenza. Ci si deve allenare almeno tre volte a settimana.
Poi l’immersione va pianificata: si decide con il gruppo dove andare, e la guida deve comunicare le caratteristiche dell’immersione, per valutare se il percorso è coerente o no con la preparazione della squadra. Poi si comunicano queste informazioni al gruppo di sub che sta per immergersi con unbriefing“.
Qual è l’errore più comune commesso da chi fa immersioni?
“Ci sono due tipi di errori: quello fatto dalle persone poco esperte e quello fatto dai professionisti. Le persone meno esperte scappano via davanti a un problema in acqua. Invece bisogna fermarsi, ragionare e cercare di risolvere l’imprevisto. Scappando, si può incorrere nella malattia da decompressione per una risalita troppo veloce. Chi è esperto invece, fa l’errore opposto: sopravvaluta le proprie forze perché pensa ‘A me non può capitare nulla’.”.
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