Immersioni sicure? Serve più cultura dell’aria
Il 10 agosto scorso al largo di Grosseto sono morti tre sub, e dopo pochi giorni un altro è deceduto in Cilento.
Le cause del decesso dei tre sub morti in acque grossetane sono ancora ignote: forse uno di loro si è sentito male e gli altri due sono riemersi troppo rapidamente per cercare di salvarlo? Oppure sono stati presi dal panico? In mancanza di certezze sulla dinamica al momento gli inquirenti non escludono che i problemi derivino da un’attrezzatura difettosa e i riflettori si sono riaccesi sul tema della sicurezza in immersione.
Gli incidenti in caso di immersioni a 30 metri per fortuna solitamente non sono così frequenti, ne succede uno ogni 80.000 immersioni. Spesso però questi sono causati da intossicazioni da monossido di carbonio, un problema troppo spesso sottovalutato e per il quale non esiste ancora un’adeguata formazione nel mondo della subacquea ricreativa.
Secondo il Dott. Longobardi anche «L’incidente di Grosseto è frutto di una serie di anomalie e doveva essere evitato. Si può fare buona subacquea e prevenzione rispettando le norme e diffondere una cultura dell’aria».
In un’intervista a “Il Tirreno”, quotidiano grossetano, il Dott. Longobardi ha spiegato come con maggiori accorgimenti e controlli sulla qualità dell’aria respirata potrebbero essere evitate molte tragedie in mare: «Non c’è cultura né da parte di chi carica le bombole che da chi fa i controlli. Un concetto fondamentale è che il monossido di carbonio, più aumenta la mia pressione cioè più vado in profondità, più diventa tossico. Più vado sott’acqua meno monossido basta (a 30 metri di profondità ne basta un quarto rispetto al valore normale) per essere tossico. Così una quantità di tossicità che magari è accettabile (un preallarme) in superficie, si carica di ulteriore tossicità da diventare letale, in profondità».
Ma quali sono i fattori da valutare per ricaricare le bombole? «Ovunque sia il compressore che carica le bombole, è fondamentale capire dov’è la presa del compressore che carica l’aria. Una cosa è se la bocchetta è nel giardino, nel mare dove l’aria è pulita e le condizioni salubri, altra cosa è se è in un luogo dove passano le auto, vi sono altri motori accesi e così via. Il monossido è un gas pesante che cade verso il basso; se la presa è messa in basso aspira il gas velenoso. Quindi la prima cosa che va fatta e non viene fatta è inserire nell’ambiente dei rilevatori di monossido. Sarà fondamentale stabilire se in questo caso ve ne siano stati o meno, anche se è difficile che ci siano perché non li ho mai visti».
Nelle fasi iniziali di un’intossicazione da monossido il sub avverte cefalea, poi nausea, vertigine, e spesso, specie nei bambini, conati di vomito. Per chiunque si trovi in questa condizione in immersione deve scattare un campanello di allarme.
Ma la cosa più importante rimane la fase di prevenzione, secondo il dott. Longobardi “Nei corsi di formazione andrebbe introdotto l’argomento della qualità dell’aria ed educare il subacqueo che va nel centro immersioni a chiedere le caratteristiche dell’aria. Il messaggio che deve passare è: guarda, l’aria non è sempre aria, ci sono dentro inquinanti. La seconda cosa è che i centri di immersione dovrebbero avere compressori di buona qualità, ottimi filtri e rilevatori di monossido. Terzo, ci vuole un controllo delle istituzioni. Con queste tre cose: subacqueo educato, un “produttore d’aria” coscienzioso e il controllo delle istituzioni si chiude il cerchio. Nel caso delle Formiche una di queste tre è mancata”.
Leggi l’intervista completa al Dott. Longobardi su “Il Tirreno”online oppure scaricala in pdf.
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